Il richiamo dell’acqua
No, non è giusto! – pensava Ambra mentre, seduta sul margine di un’esile mezzaluna di sabbia che il mare aveva risparmiato, osservava con invidia i ragazzi della spiaggia tuffarsi spavaldi tra le onde.
Lei era brava a nuotare. Da quanto ricordava, aveva sempre nuotato. Forse aveva imparato prima a nuotare che a camminare. Era stato suo padre ad insegnarglielo. Faceva il pescatore, amava il mare più d’ogni altra cosa e le aveva tramandato quella stessa passione.
Ma, se lei e suo padre lo amavano, sua madre lo temeva e lo odiava profondamente e per questo ogni volta che il mare era agitato le impediva di fare il bagno.
Ambra capiva che per lei aveva sempre rappresentato una minaccia, per anni aveva temuto che si portasse via il suo uomo. Ma quella non era una buona scusa per renderla vittima delle sue paure. E, comunque, non era stato il mare a portarselo via, ma un cancro ai polmoni.
– Una balena si è arenata sulla spiaggia!
Quelle parole di scherno sottrassero Ambra ai suoi pensieri, come una mano crudele che, al primo albeggiare, scosta i pesanti tendaggi che prolungano il torpore della notte.
Abbassando lo sguardo sulle sue gambe tarchiate accarezzate dal giocoso andirivieni della schiuma bianca e dei piccoli ciottoli dalle forme e dai colori bizzarri, pensò a quei grossi sassi che giacevano immobili sul fondo del mare e si sentì come loro: informe, grigia, pesante.
Un tempo Ambra era una bambina esile. Nessuno immaginava che il suo corpo si sarebbe ricoperto, nel giro di pochi mesi, di quella massa di grasso. Ma dopo la morte del padre, qualcosa era scattato nella sua mente spingendola a mangiare senza misura e facendola ingrassare a vista d’occhio.
“Obesità reattiva” avevano sentenziato i medici prescrivendole pillole per placare quel vorace appetito, pillole per l’ansia, pillole per la depressione.
Ma, per quanto Ambra seguisse i loro consigli, per quanto odiasse quegli anelli di grasso che, come molli catene, le imprigionavano il corpo, per quanto desiderasse vederli sparire, non riusciva a vincere quella fame, non riusciva a fare a meno del profondo piacere, della soddisfazione che il cibo le donava.
Tornò a guardare il mare che, come un vecchio mago dal mantello blu e la chioma argentea, riusciva a rendere il suo corpo leggero e agile come una farfalla.
– Vieni a volare libera in me!- sembrava sussurrarle.
Ambra si alzò, con passo deciso si avviò verso l’acqua, si tuffò e, fendendo le onde, si allontanò dalla riva e dall’Ambra che tanto odiava per vivere per qualche attimo il sogno di una lei diversa.
Ammaliata dal richiamo dell’acqua, non udì la voce del bagnino che le intimava di tornare indietro. Non vide la madre alzarsi di scatto, pronta a sfidare quel mare che tanto temeva nel tentativo di fermarla. Non la vide dimenarsi e contorcersi, come facevano i pesci intrappolati nelle reti di suo padre, per sfuggire alla presa del bagnino che la tratteneva.
Quando smise di nuotare per lasciarsi riportare a riva dalle onde, si accorse che la corrente la spingeva verso il mare aperto e allora il sogno si tramutò in un incubo.
Ricordò un lontano pomeriggio d’ottobre in cui, osservando un gruppo di surfisti cavalcare sulle loro tavole colorate enormi onde, aveva chiesto a suo padre come potevano trovare il coraggio di sfidare il mare in tempesta.
– Lo conoscono bene. Sanno che l’importante è non farsi prendere dal panico quando ci si trova in difficoltà, non sprecare le forze lottando contro la corrente, ma risparmiarle per quando mollerà la presa lasciandoti tornare verso la salvezza !- le aveva risposto.
Quelle parole le risuonarono nelle orecchie come se suo padre fosse davvero accanto a lei per sostenerla ed aiutarla e, così, si lasciò trascinare dalla corrente senza opporre resistenza. Ma, dopo qualche minuto, capì che il mare non l’avrebbe lasciata andare, che non avrebbe mollato la presa sul suo acerbo e goffo corpo.
– Un sasso informe, sono solo un sasso informe e pesante ormai papà. Il mare non mi lascerà andare- pensò lasciandosi scivolare sott’acqua per raggiungere i grossi sassi grigi dov’era certa fosse il suo posto.
All’improvviso sentì qualcosa stringerle i fianchi.
– Si, portami con te, papà, portami in paradiso, fammi diventare un angelo!
Chiuse gli occhi e si lasciò trascinare da quelle braccia forti finché non sentì la punta dei piedi sfiorare la sabbia e altre braccia afferrarla e trascinarla fuori dall’acqua.
Tutto il peso del suo corpo le gravò improvvisamente addosso. Non era in paradiso, non era leggera come un angelo. Per un attimo si sentì delusa e tradita. Neppure il mare e suo padre l’avevano voluta.
Ma, incontrando lo sguardo umido di sua madre, quello stremato del giovane sconosciuto che aveva rischiato la vita per salvarla, quelli sollevati e velati dalla colpa degli stupidi ragazzini che l’avevano denigrata, capì che un’altra possibilità le era stata offerta.
– Che sciocca sono stata! – pensò, e la paura e la vergogna si sciolsero come burro nel caldo abbraccio di sua madre.
Testo di ©Sabrina Musetti (riproduzione vietata)
Note:
Tratto dal libro “Il Riflesso della colpa”, pubblicato con Prospettiva Editrice 2003, Youcanprint 2016, codice isbn: 9788892613164. Tutti i diritti riservati all’autore, il testo non può essere riprodotto senza il preventivo assenso dell’autore.
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